L’acqua a Venezia.
Quella da bere.

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L’acqua a Venezia.
Quella da bere.

L'Acqua: il gioiello più
prezioso di Venezia.

Venezia è una città che si regge sull’acqua e questo è ciò che, più di ogni altra cosa, rappresenta e definisce la sua personalità.

Può sembrare strano, eppure è anche una città che non dispone di …acqua dolce.

Ha quasi del miracoloso, quindi, la sua capacità non solo di essere sopravvissuta, come un Tuareg nel deserto, ma persino avere conquistato un invidiabile ruolo da protagonista assoluta, nell’Europa dei primi secoli del secondo millennio e del Rinascimento.

Quando l’acqua era cosa da ricchi.

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Avere acqua potabile a Venezia, infatti, non è sempre stato scontato come lo è oggi: i veneziani si sono sempre dovuti ingegnare con la loro nota energia e caparbietà per trovare l’acqua dolce.

Con mille problemi, malattie, morti ed epidemie di colera.

Come fecero? All’inizio semplicemente recuperando l’acqua piovana, poi inventandosi le famose e belle vere da pozzo, ancor oggi visibili in molti campi di Venezia e infine, costruendo un acquedotto.

Le Vere da Posso costituirono un vero salto di qualità, di ingegno e perfino di civiltà sociale.

L’approvvigionamento dell’acqua avveniva tramite raccolta e filtraggio dell’acqua piovana, convogliata dalle grondaie dei tetti e dei campi verso il pozzo.

Ingegno e necessità.
Così Venezia era prima.

Nella fattispecie il pozzo veneziano è la punta centrale di una cisterna che si riempie d’acqua, attraverso i due o quattro tombini che circondano il pozzo.

La cisterna è piena di sabbia e la canna del pozzo pesca nel punto più basso, per cui l’acqua attinta risulta filtrata per il passaggio tra la sabbia.

Data la necessità che i pozzi fossero sempre in ordine, soprattutto dal punto di vista sanitario, e per evitare furti della preziosissima acqua dolce, la Repubblica aveva assicurato un’assidua sorveglianza e controlli; ai capi contrada era affidata la custodia delle chiavi delle cisterne, che si aprivano due volte il giorno (mattino e sera), al suono della campana dei pozzi.

Dal 1400 in poi, man mano che la popolazione (e la ricchezza) aumentava, si decise di non contare più solo sull’acqua piovana, ma di attingere al fiume Brenta, e poi dal 1600, dal canale Seriola, l’indispensabile acqua.

Burchi, acquaroli
e pozzeri

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Ma a quell’epoca Venezia non disponeva di acquedotti, come quelli dei Romani, o di tubazioni.

Così l’acqua dolce prelevata dai fiumi veniva portata a Venezia a bordo di grandi barche, i cosiddetti burchi.

La corporazione degli acquaroli, detti anche burceri da acqua, aveva il compito di trasportare a Venezia l’acqua potabile per mezzo di burchi, grandi barche a fondo piatto.

I pozzi, riforniti dalla pioggia e dall’acqua della Seriola, rimasero per secoli l’unico sistema di approvvigionamento idrico, nonostante i tanti progetti alternativi.

Questa modo di procurarsi l’acqua potabile continuò sino al 1800.

Ma la situazione era ormai divenuta insopportabile: una popolazione divenuta davvero numerosa, scarsissima igiene, frequenti epidemie di colera… insomma, condizioni igieniche generalmente degradatissime.

Arriva il primo acquedotto di Venezia!

Si decise così, su spinta iniziale dei Francesi, di dotare Venezia, finalmente, di un vero acquedotto.

Nel 1874, dopo 300 anni di discussioni e decine di progetti, il Comune di Venezia decise di costruire l’acquedotto, che prenderà l’acqua dal Brenta e dalla Seriola e la porterà a Venezia attraverso condotte posate sul fondo della laguna.

La sera del 23 giugno 1884, dopo quattro anni di lavori, fu inaugurato l’acquedotto: Piazza San Marco venne illuminata a giorno e all’ombra del campanile venne allestita una fontana dalla quale sgorgava, bellissima, l’acqua!

L’acquedotto inizialmente rifornì i pozzi, le fontane pubbliche e pochissime utenze private, perché i costi del servizio erano troppo elevati per la maggior parte dei cittadini, che continuarono quindi ad attingere l’acqua dalle molte fontane di Venezia e dai pozzi.

Ma nel giro di pochi anni la distribuzione migliorò e alla fine dell’Ottocento furono collegate anche le isole di Murano, Giudecca e Lido.

L’acqua tuttavia non era della migliore qualità, così il Comune decise di trovare valide alternative.

Dopo poche settimane furono quindi individuate nella zona di Sant’Ambrogio, nel Comune di Trebaseleghe (Padova), alcune sorgenti di acqua purissima, a oltre 300 metri di profondità.

Le stesse falde che ancora oggi riforniscono tutti i rubinetti di Venezia.

Così le vere da pozzo divennero solo un ulteriore elemento estetico e unico di questa meravigliosa e unica Città …sull’acqua.

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