Venezia, storie di distruzione e straordinarie ricostruzioni.
Può sembrare strano che navi, o i palazzi veneziani costruiti sull’acqua debbano temere il fuoco.
Eppure questo ha fatto più devastazioni di tante battaglie e guerre.
All’Arsenale, come nel 1473: «Circa dopo nona si cazò fuego nella polvere de l’Arsenal e si brusò tutta la ditta polvere de bombarda che era nel ditto Arsenal e la casa dove la se feva. Fece tremar tutta la terra come un terramotto».
A Palazzo Ducale, come nel 1483, «a causa di un “candelotto” lasciato acceso sull’altare che aveva dato fuoco alla tovaglia e si era poi rapidamente propagato a tutto l’ambiente».
Alle botteghe di Rialto come nel 1514…
Il 20 dicembre 1577 Palazzo Ducale viene colpito nuovamente da un violentissimo incendio; la Sala dello Scrutinio e quella del Maggior Consiglio subiscono danni molto gravi e la decorazione pittorica è completamente distrutta.
E poi tante case e dimore impreziosite da affreschi, statue, bellezza; o il Teatro della Fenice: un innumerevole serie di distruzioni che i Veneziani, con coraggio e determinazione, ogni volta ricostruivano.
Uguale a prima e, spesso, migliore di prima.
Nel 1728, dopo ancora un altro incendio, questa volta «in un edificio a San Bartolomeo, col concreto pericolo che il fuoco si potesse propagare a un deposito di “polveri” lì accanto provocando un disastro», Venezia si mosse.
Il Consiglio chiamò gli ambasciatori veneti a Madrid, Londra, Parigi e Vienna per sapere se avevano notizia di «alcuna Macchina artificiale per raccogliere e gettare acqua, quale questa sia, ed in quanta distanza ed altezza giunga l’impulso dell’acqua medesima, se sia agevole passar detta macchina da un luogo all’altro speditamente…».
E così Venezia si dotò finalmente di queste prime macchine che, va detto, per quell’epoca erano pure efficienti.
Ma non bastò: la burocrazia (quella colpisce sempre e dovunque, si sa) ci mise del suo per rovinare tutto.
Così nell’ennesimo, pauroso incendio alla Madonna dell’Orto, queste non vennero usate, in quanto le porte dell’Arsenale erano serrate, a causa di una vecchia Legge che ne vietava l’apertura durante le ore notturne…
Insomma, gli incendi continuarono a regnare sovrani nella città lagunare.
Nel 1836 toccò alla celebre Fenice: «Il fuoco, fatta baldoria nelle quinte della scena e nelle tele con funi sospese al soffitto e trovata esca nei rinseccati legnami, ingagliardiva e si estendeva così rattamente da non lasciare tempo agli apprestamenti per arrestarne il progresso».
E di nuovo nel 1996, nonostante le nuove tecnologie anti incendio, l’acqua disponibile ormai dappertutto, eppure per la seconda volta in centosessant’anni, il glorioso Teatro andò nuovamente in cenere.